La Gazzetta dello Sport riporta interviste al “mediceo” Francesco Minto e al medico della nazionale Vincenzo Ieracitano.
E’ di venerdì scorso la notizia della morte di Louis Fajfrowski, giovane rugbista francese del club de l’ Aurillac a maggio quella di un 17enne, a gennaio lo shock per il giovane Samuel Ezeala salvato in extremis, il nazionale gallese Sam Warburton costretto a ritirarsi dopo una stagione martoriata da infortuni al collo e alle ginocchia, uno sport sempre più fisico e meno tecnico.
Insomma, il rugby pro ha un grave problema. Vent’anni fa l’allarme era sulle mischie, ma dopo troppe tragedie se ne è venuti a capo con un regolamento che salvaguarda una fase di gioco simbolo e allo stesso tempo tutela la colonna vertebrale delle prime linee. Oggi il nodo è il placcaggio. Atleti sempre più grossi e veloci, sempre più allenati, in campo per sempre più minuti — siamo arrivati all’ora di gioco effettivo, contro i 40’ di 20 venti anni fa — generano impatti sempre più violenti. “Tutti gli sport a livello pro’ si stanno esasperando — commenta Francesco Minto, 31 anni e 39 caps azzurri come 2a e 3a linea, appena passato dal Pro 14 con Treviso al campionato italiano, a Firenze —. Il fisico è curato al limite, negli ultimi 5-6 anni le masse muscolari sono diventate più grandi e così ci si avvicina così al punto di rottura”.
“L’aumento dei numeri sulle concussions è legato anche al migliore monitoraggio — spiega Vincenzo Ieracitano, medico della Nazionale —, non va preso in maniera terroristica. Poi ci sono i problemi alle articolazioni. Ormai gli effetti di un impatto nel rugby pro’ sono simili a quelli di un incidente a 100 km/h. Solo che l’auto ha i ricambi, il corpo no”.