Ieri a San Benedetto del Tronto è andato in scena il secondo test match dell’Italrugby che ha visto la nostra nazionale contrapporsi alla compagine Russa sulla sua strada verso il Giappone. La formazione schierata da O’Shea è molto simile a quella che volerà a Tokyo, ma il nostro ct fugherà tutti i nostri dubbi quando saranno proclamati i convocati (anche se a dire il vero O’Shea pur non sbottonandosi lascia intendere che chi avrebbe giocato oggi sarebbe andato al mondiale).
Raccontare la partita, per me, non è proprio semplicissimo, se da un lato sono ancora ubriaca di entusiasmo per la scorpacciata di mete siglate dai nostri ragazzi, dall’altra provo a restare coi piedi per terra nel tentativo di fare un’analisi il più obiettiva possibile. In buona sostanza mi ritrovo in balìa di più personalità contemporaneamente che per giunta litigano pure tra di loro.
Il pomeriggio san benedettino si apre con la notizia dell’ascesa al primo posto nel ranking dei dragoni rossi gallesi, i quali scalzano dal gradino più alto i soliti All Blacks che lo occupavano da un decennio. Complimenti ad entrambe, ma entriamo nel merito della partita.
Ci siamo salutati la scorsa settimana con una prestazione corale poco convincente e quello che si chiedeva oggi ai nostri ragazzi era una prova di orgoglio e riscatto. E loro non ci hanno delusi servendoci ben tredici mete con lo stile, la classe e l’eleganza di uno chef pluristellato.
L’inizio non è stato dei migliori, forse troppo nervosismo, forse un’ansia da prestazione eccessiva ci sono costati tre falli e dopo quattro minuti siamo andati sotto di tre punti. Come se questo scappellotto avesse liberato i ragazzi da un reticolo di catene invisibili, all’ottavo minuto vanno in meta con Morisi trasformata da Allan dopo un’ottima azione collettiva.
Ma non finisce qui, un Minozzi ispirato e quasi incontenibile (che bello rivederlo così), si inventa una giochessa di piede che salta il muro sovietico, fa arrivare la palla a Ruzza che la fa proseguire verso il capitano che con leggiadria la schiaccia oltre la linea di meta. Stadio in delirio, sugli spalti il tripudio per il Sergio nazionale, Allan trasforma ma…
Ma una congiuntura astrale negativa o forse un eccesso di confidenza, più probabilmente la dormita collettiva dei nostri a centro campo fa sì che la Russia accorci le distanze segnando una meta fortunatamente non trasformandola, e ci troviamo così all’undicesimo del primo tempo con un parziale di quattordici ad otto.
Il momento no dei ragazzi sembra continuare con un avanti che fa guadagnare una mischia agli avversari, e qui inizia lo spettacolo. Sì perché gli azzurri non solo recuperano palla ma su apertura di Hayward, Mattia Bellini si invola in meta con grandi falcate che, Oliver Hutton scansati proprio.
Allan non trasforma, ma ci pensa il ritrovato Minozzi che con un’incursione al ventottesimo apre la strada per la doppietta di Bellini che questa volta viene trasformata, ventisei ad otto. Sempre il Pity al minuto trentotto suggella il suo primo tempo stellare con una meta, mancano una manciata di minuti alla fine, ci fermiamo? Ma nemmeno per idea, Hayward prima ed Allan dopo segnano due mete, per un risultato al termine della prima frazione di 45 ad 8.
Il secondo parziale riparte e con lui le marcature, pronti partenza via arriva Ferrari che si scalda involandosi in meta, poi è il turno di Padovani subentrato ad Hayward trasformato da Canna dentro al posto di Allan.
Poi Minozzi, di nuovo Padovani e per finire meta e trasformazione di Carlo Canna e chiudiamo con un perentorio 85 – 15, sì perché nel frattempo i russi un’altra ce la segnano.
Tutto molto bello, tutto molto entusiasmante ma…
Ma se da una parte si sono visti i risultati di una preparazione lunga e meticolosa, il gioco alla mano è stato più presente, Polledri, man of the match, ha tenuto banco con grinta e determinazione, non c’è stato il fatidico crollo finale ed i ragazzi hanno saputo riprendersi bene ad ogni loro calo; è vero anche che c’è stata un po’ di discontinuità, non riusciamo a trovare costanza nei calci, ancora qualche errore banale ed una disciplina che specialmente all’inizio è mancata.
Detto questo, io ho trovato un gruppo compatto ed affiatato molto consapevole delle proprie capacità e dei propri limiti, rigenerato nella fiducia in se stesso dopo l’ennesimo Sei Nazioni deludente. Ho visto un sano entusiasmo nel vedere concretizzati tutti gli sforzi ed i sacrifici di questa torrida estate. Non mi vergogno a dire che mi sono emozionata nel vedere il Pity nazionale zompettare con sicurezza per il campo, Campagnaro in campo 80 minuti è stata una delizia e mi rammarica sentire il capitano dall’alto (è proprio il caso di dirlo) della sua esperienza ammettere candidamente che questa è ‘molto probabilmente’ la sua ultima partita in Italia. A proposito ve lo dico non sono ancora pronta a questo.
Conor O’Shea si è dichiarato soddisfatto della prestazione degli azzurri e ne ha ben donde, il lavoro finora svolto ha ripagato tutti, spezzo qualche lancia a favore dei soliti critici ammettendo che i nostri avversari erano piuttosto modesti, ma erano comunque una squadra da battere e l’abbiamo battuta.
Erano stati chiesti una prova di orgoglio ed un riscatto e ci sono stati, adesso ci aspettano due prove difficili, forse impossibili chi lo sa ma se quello che abbiamo visto oggi è una gran parte del potenziale dei ragazzi, ci sono tutti i presupposti per essere ottimisti.
A chi ripete come un mantra che nel rugby se sei inferiore tecnicamente perdi sicuramente voglio regalare le parole di Julio Velasco ex ct della mitica nazionale italiana di pallavolo, quella della generazione dei fenomeni per intendersi, il quale ripeteva: ”Noi non siamo la squadra dei sogni, noi siamo una squadra che sogna.”
Io ho deciso di sognare con loro, tutto il resto mi interessa il giusto.
Ribadisco la bellezza delle maglie (anche se le mie preferite restano tuttora quelle dell’Adidas del tempo che fu) e ringrazio di cuore Giulio Bisegni, Maxime Mbandà, Oliviero Fabiani, Tommaso Benvenuti e Dean Budd.