Federico Chiesa d’ stato intervistato dal Corriere della Sera ecco le sue parole:
«Comincerei dalla Settignanese, dove ho iniziato. Non avevo un gran fisico e mi mandavano con i più piccoli, qualche volta mi sono scoraggiato. Devo ringraziare mio padre e mia mamma Francesca, che mi hanno sempre sostenuto, scegliendo le parole giuste al momento giusto».
E poi la Fiorentina, la trafila con le giovanili e l’incontro con Sousa.
«Tutto è successo velocemente. Due estati fa ero partito per il ritiro estivo senza sapere quale sarebbe stato il mio destino. E invece, nel giro di pochi giorni, l’allenatore ha deciso di tenermi in gruppo».
Ha fatto molto di più…
«Mi ha fatto esordire alla prima giornata sul campo della Juventus, che a Firenze non è una partita come le altre. Un’esperienza indimenticabile e un atto di grande fiducia. E pensare che ero già contento di essere entrato nell’elenco dei convocati. Difficile raccontare cosa ho provato. Di sicuro non lo scorderò mai».
Ed eccoci qua. Un giocatore vero.
«Vero ancora no. Sa cosa dice mio padre? Che diventi giocatore quando hai trecento partite in serie A. Io ho appena tagliato il traguardo delle cinquanta con la Fiorentina».
Ma è il nuovo simbolo della società, il prediletto della tifoseria, il più coccolato sul mercato. Come si vive tutto questo a vent’anni?
«Con leggerezza, senza pensarci troppo. È cambiato, invece, il rapporto con la gente. Ora quando vado in centro i tifosi mi riconoscono, mi fermano, mi chiedono un selfie o un autografo. Per il resto non mi sento diverso».
Non pesa il carico di aspettative?
«Sono uno stimolo. La mia filosofia è la stessa del giorno in cui sono andato a Moena: dare l’anima a ogni allenamento. Lei dice che sono diventato uno dei leader. Io la vedo in maniera diversa: ogni settimana devo dimostrare che merito una maglia da titolare. Il lunedì, nessuno deve sentirsi sicuro del posto».
Con Bernardeschi eravate i ragazzi d’oro della Fiorentina, poi lui ha scelto una strada diversa.
«Mi dispiace che sia andato via, ci sentiamo ancora. Non gioca tantissimo, ma è contento e si impegna allo spasimo. Sono pronto a scommettere che diventerà un grande campione».
Anche lei è già nel mirino di società importanti sia in Italia che all’estero. Dal Napoli all’Inter, dalla Juventus al Psg…
«Piacere a così tante squadre mi rende orgoglioso. Ma ho firmato sino al 2022 perché anche la Fiorentina è un top club».
Cosa significa per lei la maglia viola?
«Un onore e un orgoglio. Sono nato a Genova però Firenze è casa mia. E sono contento di giocare nella squadra che, insieme ai miei genitori, ha creduto in me».
Riesce a vivere i suoi vent’anni senza condizionamenti?
«Ci provo. Il privato lo custodisco gelosamente. E gli amici sono gli stessi di sempre».
Il suo idolo?
«Da ragazzino era Kakà, un modello dentro e fuori dal campo. A casa abbiamo un corridoio con le maglie di tutti i campioni, la sua però ci manca…».
E il campione preferito?
«Griezmann dell’Atletico Madrid. E poi Di Maria. Mi piace il calcio internazionale, soprattutto il Manchester City di Guardiola: gioca il calcio più bello d’Europa».
Quello italiano come lo trova?
«Molto competitivo, a tutti i livelli. Napoli, Juventus e Inter si giocheranno lo scudetto, ma è bella anche la lotta per l’Europa League».
A cui per adesso è iscritta la sua Fiorentina…
«Per noi è una sorta di anno zero, una specie di ripartenza, un nuovo inizio. Viviamo alla giornata. I conti si faranno alla fine».
Intanto oggi chiuderete il girone di andata con il Milan, che sino adesso è quella che ha più deluso.
«Nessuno si immaginava che incontrasse così tante difficoltà. Però resta una squadra difficile da affrontare e non ci possiamo permettere cali di tensione».
Come si fa a restare con i piedi per terra quando dicono e scrivono che vali sessanta milioni di euro?
«Basta non pensarci. Sono totalmente concentrato su quello che sto facendo».
Al calcio italiano manca il coraggio di lanciare i giovani.
«Io sono l’esempio contrario. Ringrazio Sousa e la Fiorentina che mi hanno dato fiducia. So che non ho fatto niente e sento che il vero Chiesa ancora non si è visto. Devo migliorare la fase difensiva e la gestione della palla».
I paragoni con papà Enrico si sprecano.
«Siamo diversi, il suo tiro era formidabile, io ci sto lavorando. Però quando parto palla al piede mi ingobbisco come faceva lui».
La Nazionale è il prossimo traguardo?
«Più che altro un legame forte. Dalla Under 19 sino alla 21, ogni volta una grande emozione. Quando arriverà, se arriverà, cercherò di farmi trovare pronto».