Elena, difensore della Nazionale italiana e dell’Atletico Madrid, ma soprattutto fiorentina e tifosa viola… Vorrei parlare con te della delicata situazione attuale dovuta all’emergenza Covid-19.
«Dunque, la situazione anche a Madrid è molto critica, diciamo che nessuno si potesse aspettare questa evoluzione così grande di questo virus che sta attaccando tutto il mondo e mi auguro con tutto il cuore che questa spiacevole situazione, questo momento possa essere superato quanto prima per poter tornare tutti quanti a sorridere».
Tu ti trovi a Madrid, come stai e come e con chi stai passando le tue giornate?
«Sì, io mi trovo ancora in Spagna, perché sono tornata dall’Algarve quando l’Italia è stata definita zona rossa. Sono dovuta rientrare perché, essendo professionista, il mio lavoro è qua a Madrid. Adesso sto in casa da sola, ho ripreso i miei studi che, un po’ per la distanza e un po’ per gli impegni sportivi, non ero riuscita a portare tanto avanti quanto avrei voluto e mi alleno tutti i giorni per mantenere quanto è possibile l’attività fisica e aerobica ad un certo livello. Inoltre studio spagnolo».
Italia e Spagna sono i due Paesi europei più colpiti da questa tragedia. Come si stanno comportando gli spagnoli e cosa ti senti di dire ai tuoi connazionali in questo momento?
«Io sono rientrata in Spagna dall’Algarve intorno all’11 marzo. Sono rientrata quando l’Italia era stata decretata zona rossa, sono tornata a Madrid e vedevo la gente che usciva tranquilla e andava a fare la spesa senza mascherina, senza guanti, come se niente fosse. Quindi, in realtà, ho passato i primi giorni del mio ritorno a Madrid con tanta rabbia. Mi dicevo: com’è possibile che abbiamo l’Italia, che è in una situazione di grande difficoltà, a 1.000 km e la gente non fa niente. Fa come se niente fosse? E questo mentre i casi di positività da coronavirus in Spagna stavano già aumentando. Diciamo che ho avuto un primo approccio molto negativo nei confronti degli spagnoli, che hanno questo modo di vivere sereno e tranquillo, però non si stavano rendendo conto della gravità della situazione che io, anche se in forma indiretta, tramite contatti in Italia, avevo vissuto. All’inizio, ripeto, ero molto scontenta di questo, poi in realtà è arrivato il boom di contagi anche in Spagna. E le varie chiusure, con le persone che hanno preso d’assalto supermercati e negozi di generi alimentari. A quel punto ho pensato: adesso vi siete resi conto che la situazione è grave. E da lì abbiamo iniziato tutti la quarantena. Per quanto riguarda gli italiani, invece, c’è da tenere duro. È una situazione molto difficile ma la cosa fondamentale è riuscire a finire questa pandemia senza essere infettati, poi arriva tutto il resto. Cerchiamo di avere questo concetto bene nella mente, poi il futuro si vedrà. È talmente tanto incerto tutto, adesso, che non me la sento di poter dire qualcosa se non che la speranza e la voglia di tornare a fare quello che facciamo è tantissima».
Cosa ti fa più paura di questa emergenza sanitaria al di là della quantità di malati e deceduti? Il fatto di dover affrontare un avversario invisibile, le distanze sociali imposte o le problematiche economiche che, di conseguenza, arriveranno a causa del blocco del lavoro in tutti i settori?
«L’aspetto positivo – se così possiamo definirlo, vista che questa pandemia di positivo non ha niente – è che questo virus ha attaccato tutti. Le classi sociali non sono e non esistono per il Covid-19. Sono stati contagiati giocatori, politici, giornalisti, tutti. Da questo punto di vista c’è stata una equità generale ed è ovvio che ci sono delle persone che in questo momento riescono a vivere meglio, che possono avere un’aspettativa futura migliore rispetto ad altre persone, tra cui anche amici che ho, che non sanno cosa aspettarsi dal futuro. Non sanno cosa li attende dopo la pandemia. Questa è una mia grande paura. Non è facile, mi metto nei panni di queste persone. Però bisogna pensare che sono tante le persone si troveranno in una situazione di emergenza economica e, se fino ad ora la divisione di classi sociali si avvertiva tanto, questo virus, a causa di questa sosta forzata a cui ci sta costringendo, diminuirà ancora di più queste differenze. Non so quello che accadrà, ma sono certa che l’Italia dimostrerà ancora una volta la sua grandissima compattezza».
Sei preoccupata per il calcio femminile? Mi spiego, temi che questo momento possa avere ripercussioni sul calcio femminile, che proprio nell’ultimo anno si stava ulteriormente evolvendo?
«Ovviamente un po’ di preoccupazione c’è, perché non si sa quello che ci dovremo aspettare. Ahimè stavamo iniziando ad ottenere dei frutti per quanto fatto al Mondiale e quanto fatto negli anni scorsi, avevamo sudato davvero per raggiungere questi obiettivi, però non sono assolutamente negativa per quanto riguarda il futuro. Probabilmente, sì, sarà difficile superare questo momento, ma sono sicura che i valori del calcio femminile, dopo questa pandemia, verranno esaltati ancora di più e credo che nonostante una probabile diminuzione degli incassi derivanti da sponsor ed altro, il valore del nostro calcio verrà ancor più elogiato. Noi non abbiamo mai giocato a calcio per i soldi, quindi porteremo maggiormente avanti quei valori che le società avranno bisogno nel prossimo futuro».
Quale sarà la prima cosa che farai quando tutto questo finirà?
«Credo che la prima cosa che farò sarà abbracciare i miei vicini o comunque uscire di casa con la bella sensazione di sentirmi più tranquilla. Ovviamente non vedo l’ora di poter tornare ad allenarmi e a giocare, perché credo che il calcio possa – anzi debba – unire le persone, quindi sono e sarò contenta di poter tornare a fare il mio lavoro per poter rallegrare per 90-95 la vita di tanta gente. Per poter permettere a tutte quelle persone che seguono il calcio di non pensare, di staccare e di unirsi e casomai sentirsi ancor più parte integrante di una società».