Di Paolo Caselli
Gli spogliatoi dei calciatori trasformati in celle, la piccola palestra in camera di tortura con i ganci per le impiccagioni al soffitto, i gabinetti in sgabuzzini per l’isolamento delle punizioni prolungate.
Quello che un tempo era lo Stadio della citta’ siriana di Raqqa, preposto alle partite di calcio, i guardiani dell’Isis, lo stato islamico o Daesh lo avevano riconvertito nel carcere centrale del «Califfato», Raqqa, infatti era la loro capitale, che per almeno tre anni ha rappresentato il cuore del sistema di controllo, monito minaccioso sulla popolazione civile ma anche, e negli ultimi tempi soprattutto, contro i suoi militanti che sempre più numerosi cercavano di disertare e scappare verso le linee curde dopo le offensive cui erano fatto oggetto dalla coalizione anti Isis.
Si cerca per quanto possibile di tornare alla normalità in Siria, per normalità in questo caso, tornare a giocare al calcio, in un luogo che era stato strappato allo sport, al tifo, alla passione per essere consegnato a torture, sofferenze e morte.