Le 17,03 del 4 maggio 1949, giusto 70 anni fa, nubi dense sopra Torino, il Fiat G.212 CP sul quale viaggiano i giocatori del Grande Torino di Capitan Valentino Mazzola, giornalisti, dirigenti e personale dell’equipaggio si schianta sulla collina di Superga.
Finiva tragicamente la storia della squadra più forte di sempre, iniziava la favola del Grande Torino, un ricordo, un simbolo.
Simbolo, come sottolineato da tanti, dell’Italia che tentava di riprendersi dalla tragedia della guerra, le maniche che Valentino Mazzola si rimboccava scatenando il quarto d’ora granata, scandito dal trombettista del Filadelfia, erano le maniche di un’Italia che tentava la ripresa, la cercava, la voleva ed in campo calcistico si identificava con la squadra granata del presidente Ferruccio Novo.
Nella partita contro l’Ungheria il ct azzurro, Vittorio Pozzo, aveva schierato ben dieci calciatori di quel Toro, una squadra formidabile, una leggenda che doveva entrare nel mito.
Facile sconfinare nella retorica del ricordo di una squadra che non ho visto giocare ma, complice la finale della Coppa Italia Primavera, ho respirato il suo Stadio restaurato, sì il Filadelfia, con lacerti di tribuna anneriti dal tempo, scintillanti nella memoria.
Le steli con i nomi di quei grandi giocatori, Mazzola, Look, Gabetti, Romeo Menti (sepolto nel cimitero dell’Antella), la stele conservata all’ingresso; più che una visita, un pellegrinaggio.
Come disse Indro Montanelli, cuore viola e penna finissima, i giocatori del Toro non sono morti, ma giocano in trasferta. Ed allora salutiamoli con una preghiera laica del calcio, Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar (Martelli), Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola.
Allenatore Lievesely.
Per sempre immortali al Filadelfia e nel cuore di chi ama il calcio e le favole.