E’ il 20 febbraio 2019, ed è un momento interlocutorio per lo sport statunitense. La stagione Nfl che si è appena conclusa con l’ennesima vittoria dei Patriots al Super Bowl, mentre la regular season Nba è in pausa perchè il gotha della Association si è trasferito in massa a Charlotte per l’All Star Game. Ma le attenzioni di tutti gli appassionati sono spostate a poco più di 220 chilometri di distanza dalla città degli Hornets: al Cameron Indoor Stadium di Durham, infatti, è in programma la partita delle partite, la rivalità più accesa dell’intero college basketball, quella tra due atenei che distano solo venti minuti di guida lungo la Tobacco Road. Stiamo parlando ovviamente di Duke e North Carolina, che da sempre danno vita a spettacoli di folle intensità emotiva. In prima fila c’è anche l’ex presidente Barack Obama. Ma non è tanto l’assenza di partite competitive nelle leghe principali a rendere questo incontro così atteso, quanto la presenza di un ragazzotto di Salisbury con un corpo gargantuesco che il capriccioso angelo della pubertà aveva visitato e baciato fin dalla prima adolescenza e un talento cestistico eufemisticamente vivace e focalizzato in un bisogno insaziabile di farsi grande.
Da qualche mese, infatti, nel campus dei Blue Devils siamo in piena modalità mitopoiesi: Zion Williamson è un freshman come non ne sono mai visti, e sta dominando la Ncaa con uno strapotere fisico per il quale è impossibile fare paragoni con il passato e una capacità di galleggiare in aria come un palloncino d’elio dopo un salto che lo avvicina più agli dei che ai comuni mortali. In più, nel pacchetto c’è anche un bagaglio tecnico da guardia e un tiro non battezzabile dalle difese avversarie. In una parola, immarcabile. Ma il destino, si sa, non ti avverte. Il destino fa sempre capolino da un vicolo e, avvolto nell’impermeabile, ti chiama con un “psss” che di solito non riesci nemmeno a sentire, impegnato a correre da o verso qualcosa di importante che hai cercato di pianificare. Ed ecco che, passati appena 31 secondi dalla palla a due in quel di Durham, Zion è disteso sul parquet: la sua scarpa sinistra non ha retto l’urto dell’ennesimo balzo sensa senso ed è letteralmente esplosa all’atterraggio, causandogli la distorsione del ginocchio sinistro. Obama è il primo ad accorgersene, una telecamera lo immortale mentre laconicamente esclama “his shoe broke”. Non è un infortunio grave, ma la conseguenze sono dietrologiche: si inizia a pensare che Williamson sia troppo pesante (130 chili per 2 metri scarsi) ed esplosivo per reggere fisicamente una carriera Nba di alto livello, che le ginocchia umana non siano fatte di un materiale in grado di supportare una muscolatura di questo genere. Quella scarpa rotta, un modello Nike, sarà comunque l’incentivo che qualche mese dopo lo condurrà a Beaverton a firmare un contratto da 75 milioni di dollari in sette anni con Michael Jordan e la sua linea Air.
E a giugno, comunque, il suo nome è il primo ad essere pronunciato dal commissioner Adam Silver al draft Nba: sono i New Orleans Pelicans ad assicurarsi questo talento generazionale, chiamato, nel più classico gioco di ‘sliding doors’, a sostituire il totem Anthony Davis appena diventato gialloviola. E sia in Summer League che in preseason, il discorso prosegue da dove era finito: Zion domina come aveva dominato all’high school e al college, i suoi avversari maltrattati come dei ragazzini. Ma alla quarta delle cinque partite prestagionali, il 21 ottobre scorso in casa dei San Antonio Spurs, Williamson esce dal campo malconcio e si intuisce che qualcosa non va. Il report medico dei Pelicans recita trauma al menisco del ginocchio destro e operazione necessaria per una convalescenza che andrà dalle sei alle otto settimane. E la Nba intera a subirne le conseguenze, visto che aveva stilato un calendario garantendo a New Orleans partite di primo livello e in diretta tv sia ad Halloween che a Natale. Senza di lui i Pelicans sono un’altra squadra: non tanto come talento generale, quello è sottinteso, quanto piuttosto come attrazione da gustare notte per notte. Si iniziano veramente a nutrire dubbi su quel tessuto cartilagineo tra rotula e tibia. E a mettere benzina sul fuoco, arriva anche il ritardo nel rientro, che slitta di settimana in settimana.
Ma poi la notizia che tutti aspettavano: Zion Williamson è pronto, rientrerà il 23 gennaio allo Smoothie King Center quando i Pelicans ospiteranno gli Spurs, come un cerchio che si chiude. Immediatamente Espn modifica il suo palinsesto: in diretta nazionale non va più Rockets-Nuggets, due delle migliori squadre della Lega, ma Pelicans-Spurs, due squadre sotto il 50% di record… ma c’è Zion, e tanto basta. Gli occhi degli appassionati di tutti il mondo sono rivolti in Louisiana. L’inizio è timido, balbettante: a fine primo tempo il suo tabellino recita 2 punti, 3 rimbalzi, 1 assist e 2 palle perse in 8 minuti con 1/2 al tiro. Gioca solo l’inizio del terzo quarto, poi Alvin Gentry lo richiama in panchina, e rientra solo all’inizio dell’ultima frazione. E qui le cose cambiano: Williamson segna 17 punti di fila in 4 minuti, complice pure un 4/4 dall’arco che dimostra anche una mano educatissima. I tifosi dei Pelicans, e non solo, si infiammano, ma questa eruzione realizzativa non basta a evitare la sconfitta. Ma non importa. A fine partita saranno comunque 22 punti in 18 minuti, ma soprattutto è rimasta la sensazione che questo è stato solo l’inizio di una storia straordinaria che vale la pena di essere gustata fino in fondo. E a margine (come non dovrebbe essere, ma la narrazione intorno all’epifania da professionista di Zion prevale sul resto) i Pelicans sono ancora miracolosamente in corso per l’ottavo posto ad ovest, e chissà che l’entusiasmo portato dal rientro del prodotto di Duke non sia un trampolino di lancio sufficiente per agganciare un risultato che sembrava insperato.
New Orleans e la Lousiana in generale non sono posti di basket, ma di football. I Pelicans sono soltanto la terza squadra più seguita dello stato, dietro i Saints della Nfl e la squadra di football di Louisiana State University. Ma ora, con lo straordinario quarterback dei Tigers Joe Burrow in odore di Nfl dopo aver battuto qualsivoglia record collegiale, e con la sua controparte ai Saints Drew Brees che sembra al canto del cigno, l’arrivo di Zion Williamson in città potrebbe scombinare i piani come in passato non ci sono riusciti neanche campioni del calibro di Chris Paul e Anthony Davis.