Era la finale annunciata, lo scontro tra titani che tutti si aspettavano questo 15 settembre al Wukesong Indoor Stadium di Pechino. Team Usa e Serbia erano le grandi favorite di questo Mondiale cinese che volge a conclusione, con gli europei probabilmente una spanna avanti nella considerazione generale alla vigilia della prima palla a due.
Ma, a sorpresa, nessuna delle due squadre sarà presente all’atto conclusivo della competizione, che vedrà invece coinvolte con merito Spagna e Argentina: stessa lingua, mondi (cestistici e non) diversi. Come diverso è stato il modo di arrivare in finale: la sagacia tattica di Scariolo da una parte a compensare un livello di talento non all’altezza delle edizioni del recente passato, la grinta e l’abnegazione di un gruppo senza giocatori Nba (mai successo per una finalista nel terzo millennio) dall’altra. Si farebbe peccato però a non citare la classe di Marc Gasol, straordinariamente dominante nel finale di partita contro l’Australia, e l’immensità di Luis Scola, 39 anni, 28 punti e 13 rimbalzi alla sirena, che con due canestri in coast-to-coast all’inizio della semifinale contro la Francia ha mostrato ai suoi la strada da seguire.
La sorpresa però, come detto, sta più nelle assenze che nelle presenze. Sia gli Stati Uniti che la Serbia hanno visto arrestarsi il loro cammino ai quarti di finale, rispettivamente contro Francia e Argentina.
La spedizione statunitense è partita in salita fin da subito, con le tante defezioni che ne hanno minato la credibilità da potenziale dominatrice del torno. Niente Lebron, Kevin, Kawhi, James, Steph, Chris e compagnia bella: i nomi di battesimo sono sufficienti per capire la portata delle assenze delle stelle di prima grandezza. Per non farsi mancare nulla, si sono aggiunti gli infortuni di giocatori non di prima fascia, ma che sarebbero stati comunque funzionali al progetto tecnico come Kyle Kuzma e PJ Tucker. Ed ecco che in un amen Gregg Popovich (scelto da Brian Colangelo con la speranza che potesse attirare i big a partecipare ad una competizione che non ha lo stesso appeal delle Olimpiadi, per i giocatori a stelle e strisce) si è trovato ad assemblare un roster di superstiti, e non quello delle prime e nemmeno delle seconde scelte. L’amalgama è sembrato subito difficile se non impossibile da trovare: spaziature sbagliate, nessuna parvenza di gioco offensivo degno di questo nome, rimesse scellerate, tanti uno contro uno e penetra e scarica, attacco contro la zona da mettersi le mani nei capelli, soprattutto nelle prime gare. A nulla è valsa la presenza di quello che è sembrato l’unico giocatore che potrebbe avere diritto di cittadinanza in una reale selezione dei migliori giocatori americani, ovvero Kemba Walker. E neanche una difesa a tratti dominante, soprattutto vista la fisicità di Smart e Brown, è servita a tappare i buchi. Fournier, De Colo, Ntilikina e Gobert hanno messo la parola fine alla spedizione Usa peggiore dai tempi di Indianapolis 2002, l’ultima volta che non arrivò neanche una medaglia.
Se al di là dell’Atlantico i problemi sono stati tecnico-tattici, con giocatori che non hanno saputo traslare il proprio talento in un gioco funzionale a livello Fiba, in casa Serbia si è visto un tracollo tutto di natura mentale. I balcanici erano forse i grandi favoriti della vigilia, superiori anche a Team Usa, grazie alla presenza di giocatori come Bogdan Bogdanovic (unico a salvarsi a conti fatti) e soprattutto di quella che, insieme a Giannis Antetokounmpo, era la stella più luminosa dell’intero mondiale: Nikola Jokic. E nonostante il giocatore dei Nuggets non fosse stato in gran spolvero, per usare un eufemismo, fino alla partita contro la Spagna i serbi sembravano comunque una corazzata imbattibile. Ma la sconfitta che è valsa il primo posto nel girone, oltre che rivelarsi decisiva per il proseguo del torneo, ha tolto certezze e sicurezza alla formazione di Djordjevic, che è poi capitolata inesorabilmente contro il cuore e la garra degli argentini. E inevitabilmente scatta l’ora dei processi, anche perchè a breve ci sarà da giocare un Pre-Olimpico per guadagnarsi l’accesso a Tokio 2020. La Federazione dovrà fare le sue considerazioni su Sasha Djordjevic, che è in scadenza di contratto e non è per niente sicuro del rinnovo. In secondo luogo, bisognerà capire se la stelle Nba faranno parte del percorso verso l’Olimpiade. Ma un capitolo a parte merita proprio Nikola Jokic: doveva guidare i suoi all’oro, e invece è stato il simbolo della disfatta. Tanti falli tecnici, espulsioni, nervosismo costante, apparentemente svogliato e sufficiente, una faccia sempre ai limiti della noia ed una forma fisica francamente imbarazzante per un giocatore del suo livello. Rimane uno dei giocatori più eccitanti di questa generazione, un centro con dei piedi, delle mani e una testa cestistica che non si vedevano dai tempi di Sabonis. Ma deve darsi una svegliata per evitare di rimanere in un limbo che sarebbe sanguinoso non solo per la Serbia, ma per tutti gli appassionati della palla a spicchi,