Il rischio di fare passare Stefano Pioli come il principale colpevole induce alla moderazione nei suoi confronti. C’è il rispetto per l’uomo dopo il 4 marzo dell’anno scorso e c’è anche la volontà, nei critici, di non fare passare in secondo piano le responsabilità maggiori che sono del Direttore Pantaleo Corvino e della proprietà.
Ciò premesso, il quinto pareggio di fila, stavolta per 0 a 0, obbliga a una riflessione nei confronti del tecnico viola il quale, va detto, potrebbe alzare la mano e dire “attenzione! I giocatori che ho sono questi e io faccio con quelli che ho”. Non lo ha fatto e non lo farà, non per mero rispetto aziendalista ma per una più profonda forma di rispetto verso chi ti sta dando un lavoro.
Tornando alle scelte di Pioli contro il Bologna sono state coerenti con il suo credo fin dall’undici iniziale sostituendo Pezzella con Ceccherini e lasciando Milenkovic dove sempre mantenendo quindi identico tatticamente lo schieramento del reparto difensivo. All’altra assenza, quella di Pjaca, ha sopperito con Gerson più offensivo ed Edimilson in mediana. Un Gerson che perde palloni e fa una rovesciata per la playstation ma apre pure nel primo tempo per Benassi con la nitidezza del giocatore di classe.
La Fiorentina ha giocato meglio del Bologna ma non ha ‘chiuso’ gli avversari come avrebbe potuto e dovuto per portare via i tre punti. Si dirà che anche stavolta Simeone ha ‘ciccato’ l’appuntamento col gol e anche questo è vero come lo sono le sue espressioni sconsolate dopo l’occasione fallita e dopo il palo di Milenkovic che lo ha visto soltanto spettatore ravvicinato. Come è altrettanto vera l’espressione di rabbia di Chiesa dopo il mancato assist dell’argentino alla mezz’ora del primo tempo, inequivocabile segnale di una mancata intesa calcistica.
Se Lafont è reattivo sull’unica occasione bolognese, altrettanto non lo è Pioli, e qui si torna al discorso iniziale, nei cambi. Togli lo stanco Gerson per Mirallas, d’accordo. Rivedi Thereau ma togli Simeone, inserisci Dabo (perché?) per Benassi. Eppure il Bologna, armato dell’appesantito Santander e dell’attempato Palacio, non faceva così paura. Come si diceva al tempo del gioco da scatola “Risiko” a proposito della strategia da tenere, ‘chi non risika, rosika’.