Un’illusione durata poco, tempo di una fetta di pandoro per la vigilia e di una di panettone per Natale, poi è arrivata puntuale la doccia fredda, freddissima che ha riportato tutti alla cruda realtà. Il sacco di Milano di sabato pomeriggio aveva fatto riaccendere le speranze di vedere un’altra Fiorentina e invece nel boxing day all’italiana arriva una sconfitta tanto amara quanto inaspettata. Un pomeriggio da incubo di Hugo, i soliti problemi a trovare la via del gol, un Parma catenacciaro, abile a sfruttare la prima disattenzione viola e un arbitraggio mediocre hanno fatto trovare sotto l’albero il secondo ko casalingo della stagione. Davvero una beffa, perché la voglia di sorprendere di Firenze era tanta e c’era bisogno di un’altra iniezione di fiducia per ravvivare una piazza che è sempre più depressa e distante dalla propria società, pure ieri duramente contestata all’inizio e alla fine della partita. E pensare che la squadra, come sempre, ha dato l’anima dal primo al novantesimo, perché tutto possiamo dire ai ragazzi di Pioli, ma sotto il punto di vista dell’impegno nessuno mai si è tirato indietro. Ma non è bastato. Il forfait di Mirallas all’ultimo è costato forse più del dovuto. Pjaca ancora è arrugginito, il croato si è reso protagonista di qualche lampo, nel finale ha provato a sfoderare tutta la sua classe per trovare il pareggio: troppo poco per un uomo, come detto ormai fino alla noia, venuto qua per fare la differenza. E allora ci si è aggrappati al solito Chiesa, che non ha avuto la stessa mira di San Siro. Contro il Milan è stato bravo a trovare l’angolino e a infilare Donnarumma, contro il Parma ha sbagliato una conclusione facile a girare. Un giocatore della sua classe un pallone del genere lo mette in fondo al sacco. D’altronde sono cose che capitano e non possiamo rimproverare niente. Un discorso a parte va fatto per Simeone. Il cholito dopo l’exploit e le polemiche nel derby contro l’Empoli si è involuto nuovamente. La Fiorentina ha giocato a una porta per quasi novanta minuti. I gigliati hanno tenuto palla per il 61% della gara, concludendo in porta ben sedici volte, sette delle quali nello specchio. A memoria, il numero nove viola contribuisce a questi dati in una sola occasione nel primo tempo, quando dopo una mischia furibonda in area non ha trovato la stoccata vincente. Per il resto: non pervenuto. L’argentino si deve svegliare. I quattro gol che ha segnato quasi al giro di boa della stagione (manca l’ultima giornata del girone di andata) sono meno di un terzo delle realizzazioni fatte registrare la scorsa stagione, 14. Quindi c’è da correre ai ripari per sopperire alla scarsa vena realizzativa della punta della Fiorentina. E soprattutto c’è da chiedersi se la società vorrà intervenire nel mercato di gennaio per dare a Pioli qualche carta in più da giocarsi in attacco. Muriel? Gabbiadini? Balotelli? Per l’arrivo dei primi due non ci sono problemi, per il terzo, meglio di no. Grazie. Oltre alla solita tiritera sui dilemmi offensivi della Fiorentina, l’amaro servito per Santo Stefano al Franchi ha il nome di Victor Hugo e della direzione arbitrale di Fabbri. La prestazione del brasiliano è stata gravemente insufficiente. L’errore sul gol di Inglese nel finale del primo tempo è stato solo l’inizio degli strafalcioni culminati con l’espulsione comminata per un fallo su Biabiany lanciato a rete. Espulsione giusta, probabilmente. Ma la stessa fiscalità avuta nei confronti della Fiorentina non è stata applicata dal signor Fabbri di Ravenna ai giocatori del Parma. Nel primo tempo ha estratto tre gialli (Milenkovic, Pezzella e Laurini per tre falli duri sempre su Biabiany (abile nel rendere plateale ogni intervento su di lui) mentre dall’altra parte per infrazioni simili si è stati più generosi. In più il fischietto romagnolo sul mani di Bastoni in area ha sorvolato nonostante fosse stato richiamato dal VAR. Bontà natalizia, verrebbe da dire. Stessa bontà con cui ha concesso i minuti di recupero nel finale, solo quattro, dopo interruzioni e perdite di tempo continue. Detto questo, non siamo qua a cercare alibi per la sconfitta, ma solo una maggior equità e oggettività nelle decisioni. Adesso c’è da dimenticare in fretta il capitombolo di ieri e gettarsi a testa bassa sull’ultimo impegno del 2018: al Ferraris contro il Genoa del grande ex Cesare Prandelli.