Twickenham, 25 chilometri dal centro di Londra, 25 anni luce dentro la leggenda: più che cattedrale, fortezza e come tutte le fortezze, anche quelle che hanno la fama di inespugnabili, destinate a cadere.
Non solo l’hanno conquistata le tre grandi degli antipodi, ma anche l’Argentina (la prima volta con una full house di Todeschini) e più di recente anche le Fiji. Francia, Galles e Scozia là, nella contea del Middlesex, hanno scritto e tramandato pagine memorabili. Dodici anni or sono, 10 marzo 2013, non è andata lontana dall’impresa l’Italia, quando riuscì a zittire gli 82.000 cantori, costretti a un sommesso brusio, mettendo da parte una sicurezza che può sconfinare nell’arroganza.
Una partita scandita dai calci di Toby Flood, da quelli di un altro “cordobes” dal piede prezioso, Luciano Orquera, dalla meta di Luke McLean che alla fine sarebbe risultata l’unica in quel pomeriggio di fine inverno. Nel punteggio, 18-11, abitano l’orgoglio e il rimpianto.
Sul pianeta proibito era sbarcato nel ’52 Paolo Rosi: Rosslyn Park-Resto d’Europa per il 75° anniversario del vecchio club. “Una finta a destra, una finta a sinistra e so’ annato in mezzo ai pali”, raccontava The Voice del rugby, dell’atletica, del pugilato e sembrava una saga: Twickenham era una Mecca, una Shangri-la, una fortezza Bastiani del rugby.
“Nel marzo del ’74 giocammo in Inghilterra con Middlesex, Sussex e Oxfordshire, tutte perse con onore e pacche sulle spalle. Il sabato c’era Inghilterra-Galles e ci portarono a Twickenham. Trattamento di lusso: nel cestino da viaggio c’era fagiano in gelatina e una mezza di Moet Chandon”: la testimonianza è di Marco Bollesan, capitano di un’Italia che andò a misurare progressi che parevano vagiti. Twickenham era là e sembrava esserci sempre stato, grigio e solenne, la casa del rugby inglese, il posto della Rosa, il luogo dove un vecchio capitano di radici parmigiane e piemontesi, Lawrence Dallaglio, disse che “qui nessuno è benvenuto”.
Nel ’99 Twickenham ancora severo maestro. “Perché? Gridai a Leonard che mi aveva incornato alla schiena come un caprone togliendomi il respiro. Rispose con un grugnito”: ed è il racconto di un Mauro Bergamasco 20enne, spedito nella mischia per una solenne batosta, 67-7. Due anni dopo sarebbe andata anche peggio: 80-23, dopo un primo tempo giocato alla pari e un secondo che pareva la Zattera della Medusa.
“Solo le squadre mediocri si accontentano di sconfitte con il minimo scarto”: la premessa di quel che avverrà è di Sergio Parisse, capitano in eterno.