“Il nuovo Michael Jordan sarà bianco e nascerà fuori dagli Stati Uniti”. Con questa frase Don Nelson, un signore da 2.398 partita Nba allenate e membro della Hall of Fame, presagiva l’avvento di una nuova era per il basket mondiale. Pronunciate peraltro in un momento storico in cui Dirk Nowitzki non era ancora ‘Wunder Dirk’, le parole di Nelson sembravano un’utopia lontana anni luce dal realizzarsi. In realtà proprio in quei giorni, a Lubiana, nasceva un ragazzo che adempiva alla profezia, e una ventina di anni dopo possiamo tranquillamente dire che Don Nelson aveva ragione.
Certo, accostare qualunque altro giocatore a Sua Maestà MJ è sempre azzardato, ma le cose meravigliose che sta facendo Luka Doncic a soli 20 anni di età fanno strabuzzare gli occhi. Si lascia guardare con lo sguardo attento di uno scoiattolo convinto che qualcuno abbia un pezzo di pane secco in tasca. E non è difficile, vedendolo giocare, sentire uno spasmo di nostalgia, di amore per il conosciuto. Attenzione: Doncic e Jordan sono due giocatori tecnicamente molto diversi. Quello che hanno in comune, a parte il talento sconfinato, è la fame di vittorie, l’innata capacità di cogliere il momento, di azzannare la partita, di dare la sensazione di poter vincere a piacimento.
Possiamo tranquillamente parlarne come del ventenne più forte di sempre ad aver calcato i parquet della Nba. Già lo scorso anno aveva dimostrato tutto il suo valore, vincendo il titolo di rookie dell’anno e mettendo insieme cifre considerevoli (21,2 punti di media a partita, 7,8 rimbalzi e 6 assist). Ma passare ne giro di pochi mesi da “un giorno potrà essere un candidato Mvp” a “sono pazzi a non dargli l’Mvp” è un’evoluzione fuori dall’ordinario, che pure i suoi ammiratori della prima ora non si aspettavano. La verità è che comunque ci sono almeno altri tre candidati papabili dopo un quarto di stagione (il greco, Lebron e Harden, non necessariamente in quest’ordine), ma quest’anno, nel momento in cui scrivo, Luka sta viaggiando a 30.3 punti di media, 10.1 rimbalzi (è un esterno…) e 9.2 assist. Tutto questo dando sempre l’impressione di non pensare alle statistiche individuali (Russell Westbrook chi?), ma di capire in ogni momento della partita il modo migliore per incidere sulla stessa. E il record dei Dallas Mavericks, quarti nella Western Conference, è lì a testimoniarlo.
Ma non fermiamoci alla cifre. Prendiamo, ad esempio, la partita del primo dicembre contro i Lakers, in cui lo sloveno ha dominato, vinto la partita e il confronto diretto con Lebron James, concedendosi pure il lusso di segnare uno step back in faccia al suo idolo d’infanzia. A fine partita sarà lo stesso James a incoronarlo: “Continua così, sei un gran figlio di…”. Possiamo pure tornare indietro di una settimana, quando Harden e gli Houston Rockets si sono dovuti arrendere ad una prestazione da 41 punti, 10 assist e 6 rimbalzi. O ancora, come non menzionare la tripla doppia in soli 25 minuti contro i Golden State Warriors, quando in un solo quarto ha segnato più punti, preso più rimbalzi e servito più assist dell’intera squadra avversaria. I record, soprattutto quelli legati alla precocità, sono innumerevoli.
E a distanza di 18 mesi, fa specie ripensare a quel draft in cui Luka fu scelto solamente alla terza assoluta (e poi addirittura scambiato per la quinta), in una notte che ricorda sinistramente quella del 1984: alla prima scelta i Suns presero l’idolo di casa DeAndre Ayton, come 24 anni prima Hakeem Olajuwon fu selezionato dagli Houston Rockets (ma i Suns firmerebbero col sangue se Ayton si rivelasse qualcosa anche di solo lontanamente simile ad ‘Hakeem The Dream’). Una scelta per certi versi comprensibile, nonostante già oggi si possa dire sbagliata. Ma per i Kings, passare Doncic per scegliere Marvin Bagley è stata una mossa che avrebbe dovuto portare all’immediato licenziamento del general manager Vlade Divac. Ed ecco che Doncic, come Michael Jordan, si ritrova scelto alla terza assoluta. Pare che qualcuno avesse dei dubbi sul suo atletismo e sulla sua adattabilità fisica alla Nba… Misteri della notte del draft, errori grossolani che segnano la storia di una franchigia e dell’intera Lega. A Dallas si fregano le mani e cantano all’unisono “Halleluka halleluka” sulle note dell’alleluia.